Questo testo è la trascrizione parziale dell’intervista a Yaya condotta durante l’incontro del giorno 20 giugno 2020. L’intervista è stata realizzata a seguito della visita di Yaya a due musei del Sistema Museale di Ateneo di Pisa, coinvolti nel progetto “So Distant. Incredibly Close”: ovvero ll Museo degli Strumenti per il Calcolo e Il Museo di Storia Naturale.
Oltre a Yaya, hanno partecipato all’intervista: Alice Milani (fumettista), Adriana De Cesare e Marzia Cerrai (Fondazione Sistema Toscana).
L’incontro è stato condotto e facilitato da Paola Bolelli (Associazione no profit ORISS).
Alcune parti dell’intervista potrebbero essere state rimosse dalla redattrice nel rispetto della privacy delle persone coinvolte.
Paola: Ti ricordi la stanza rosa nel museo dei computer? Ecco, io avevo un computer così. Per me è stato quello l’incontro con la tecnologia. Con quel computer. Mi chiedevo come ha funzionato in Burkina.
Yaya: Non so cosa dire. Qui (ndr.: in Italia) l’ho conosciuto negli uffici. Da me non c’erano.
P.: Come è internet in Burkina Faso?
Y.: Lì il problema di internet è un po’ difficile.
P.: L’idea dell’Europa in Burkina Faso arrivava attraverso la TV o altro?
Y.: Sia con la TV che con i racconti della gente. Ma la TV bisogna trovare prima chi ne ha una. Quindi più tramite persone che hanno viaggiato e ti raccontano come è la situazione.
P.: Ci sono tre momenti storici. I primi emigrati in Europa venivano considerati degli eroi (cantati anche dai Griot). Poi un secondo passaggio più complicato. E il terzo, con i giovani che partono però con un modo meno chiaro rispetto alla prima.
Y.: Quello che dici tu è proprio vero. Ora non è come prima.
P.: E tu che idea avevi dell’Europa quando sei venuto?
Y.: Grazie a internet un po’ sapevo. Ma da lontano quando si vede è un’altra cosa. Poi la realtà è diversa. Quando ero giù (ndr.: in Burkina Faso), la propaganda diceva cose diverse da come è poi la realtà. In Sicilia (ndr.: dove è sbarcato) ho visto un'intera famiglia italiana per strada chiedere l'elemosina. Mi sono detto: ma dove sono finito? Non dico che l'Europa non sia sviluppata bene, però proprio bene bene no.
P.: Quali canali usavi per informarti dell’Europa?
Y.: Facebook, Youtube, le serie tv (e lì forse la gente rimane ingannata).
P.: E quindi la questione della famiglia siciliana che chiedeva soldi?
Y.: Sì, strano. Da me questo non succede. C’è gente che chiede soldi per strada, certo. Magari un bambino, ma non tutta la famiglia. Perché se tutta la famiglia chiede l’elemosina allora vuol dire che non c’è speranza per nessuno. No, questo non succede.
Non voglio dire che l’Europa non sia sviluppata ma noto che ci sono un sacco di problemi. Ci sono un sacco di persone che soffrono.
P.: Ti faccio una domanda. Se vuoi non rispondere. Tu come altri, sapevate della difficoltà del viaggio? O l’avete scoperto strada facendo?
Y.: Certo certo. Uno che viaggia saluta sempre e sa che può sopravvivere o può morire. Sai la strada che lasci, ma non quella che sarà. Uno che va nel Sahara sa che avrà delle difficoltà per sopravvivere. Sai che la strada è pericolosa ma se non hai scelta. Rimanere e morire. Andare e morire. Le possibilità sono le stesse. Alcuni quindi prendono il rischio e partono.
P.: Quanto è durato il tuo viaggio?
Y.: Per arrivare in Libia 1 mese. In Libia 3 anni. E poi dalla Sicilia mi hanno mandato direttamente a Pisa.
P.: Se avessi la possibilità di mettere qualcosa nei musei italiani tu cosa metteresti?
Y.: Metterei il disegno di barca come simbolo dei migranti, della difficoltà del viaggio. Simboleggia qualcosa. Un passaggio da un mondo a un altro.
P.: E qualcosa della tua terra ce lo metteresti?
Y.: Non mi viene in mente
P.: E invece l’opposto, cosa porteresti in Burkina Faso?
Y.: Se devo fare un museo lì, vorrei che la prima visitatrice fosse questa signora che mi ha accolto quando sono arrivato qui. Lei è italiana, ma parla francese. Mi sono presentato. Ho visto lei (ex professoressa) e mi ha insegnato subito: mi ha preso un libro di italiano e mi ha aiutato a entrare in una scuola superiore.
Nel museo invece metterei qualche animale e la macchina enigma. L’Orso e gli acquari.
P.: Come mai in Burkina Faso non pensi a mettere una barca?
Y.: Ok ok, la posso mettere però gli altri non crederebbero alla storia di questa barca.
P.: Perché?
Y.: Perché se torni lì e racconti questo del viaggio in Europa e racconti la verità molti non ti credono. Alcuni amici non ti credono e non ti rispondono più.
P.: Hai raccontato il viaggio a casa tua?
Y.: Sì, qualcosa sì
P.: Se l’avessi saputo non avresti fatto il viaggio?
Y.: Sì
P.: Avresti in mente la soluzione (cosa deve cambiare) perché questo non avvenga, cioè che le persone non debbano fare questo viaggio?
Y.: La mentalità della gente. Cambiare. Fuggire non è la soluzione. Se dovessi tornare un giorno proverò a parlare con i giovani. Racconterò la mia esperienza. Cercherò di smentire la propaganda che c’è in Africa. La comunicazione sarà la mia preoccupazione principale.
P.: Torniamo ai musei. Nel museo degli animali, a parte l'orso bianco e i pesci, cosa ti è piaciuto?
Y.: Quando l’uomo inizia a svilupparsi. Molto interessante. La preistoria.
P.: Come vengono raccontati nelle scuole africane?
Y.: Con i libri, con i racconti sulla scoperta del fuoco ecc..
P.: Come viene raccontata dai voi l’evoluzione e la diffusione della specie umana?
Y.: Nei libri di storia c’è scritto la scoperta dell’uomo è stata in Etiopia. Da noi c’è un luogo che sia chiama Pig Sendu (ndr.: il nome trascritto sembra inesistente) dove ci sono delle pitture rupestri.
Adriana: Non sono mai stata in Africa. Mi piacerebbe anche tanto. Se venissi in Burkina Faso dove mi porteresti?
Y.: Ci sono tante cose da vedere. Magari vedere dove si fanno i SIAO (ndr.: fiera internazionale d'arte e artigianato di Ouagadougou), dove fanno le maschere e i disegni tradizionali. Incontrare le persone.
A.: E se voglio andare fuori da Ouagadougou?
Y.: Andare fuori a vedere gli animali. Ogni luogo ha un posto dove ci sono particolari animali.
A.: Me lo consiglieresti di andare in Burkina Faso?
Y.: Magari sì, quando c’è il festival del Cinema. È molto interessante. In tutta l’Africa adesso c’è un grande fermento culturale. Interessante anche perché arrivano tanti turisti, in quel periodo. Ci sono i musei dei re che hanno combattuto per il Burkina Faso. Sfortunatamente adesso c’è il problema del terrorismo al Nord. Questo è un problema per viaggiare.
A.: Tu parli spesso di re. In Italia c’era ma adesso non c’è.
Y.: Da noi i re contano più del presidente. Ci sono tanti re. Ma c’è uno più importante di tutti gli altri, che dà gli ordini, che comanda, ecc…
P.: Sai che in Italia siamo tutti molto ignoranti rispetto all’Africa. Per via del colonialismo ecc… ma col fenomeno migratorio in Europa si sta iniziando a capire la dimensione culturale dell’Africa. Tra le tante cose positive dell’immigrazione c’è la possibilità di arricchire culturalmente il posto in cui si arriva.
Sarebbe bello poter creare delle occasioni di incontro per spiegare queste cose.
P.: Yaya, ora cosa fai di lavoro?
Y.: Il saldatore. Ho anche fatto un corso di ristorazione. Mi piacerebbe lavorare in un ristorante, è più elegante.
P.: Non vorresti continuare a studiare?
Y.: Ora siamo in vacanza. Magari quando cambiano i turni, la mattina probabilmente, potrei continuare a studiare. Mi piacerebbe fare l’alberghiero. Chissà un giorno apro un ristorante in Burkina Faso.
P.: Avevi in mente l’Italia come meta? Oppure l’Europa in generale. La Francia o altro?
Y.: Non avevo un'idea precisa. La mia intenzione era di andare via e basta. Ora però sto bene qui, in Italia. A Pisa mi sento a casa. A Pontedera invece no. Infatti sono sempre a Pisa.