Questo testo è la trascrizione parziale dell’intervista a Adriana Papagna condotta durante l’incontro online del giorno 26 giugno 2020. L’intervista è stata realizzata a seguito della visita di Adriana a 4 musei del Sistema Museale di Ateneo di Pisa, coinvolti nel progetto “So Distant. Incredibly Close”: ovvero la Gipsoteca di Arte Antica, Il Museo degli Strumenti per il Calcolo, Il Museo di Storia Naturale e il Museo e Orto Botanico.
Oltre a Adriana Papagna, hanno partecipato all’intervista: Alice Milani (fumettista), Marzia Cerrai (Fondazione Sistema Toscana), Ketty Di Pasquale (Associazione Casa della Donna).
L’incontro è stato condotto e facilitato da Adriana De Cesare (Fondazione Sistema Toscana).
Alcune parti dell’intervista potrebbero essere state rimosse dalla redattrice nel rispetto della privacy delle persone coinvolte.
Adriana De Cesare: Quale museo ricordi meglio? Quale ti è rimasto più impresso di quelli che hai visitato?
Adriana Papagna: Mi ricordo benissimo di tutti e tre. È difficile dire in una parola sola. L’impronta è a diversi livelli.
Per carattere personale mio, sono sempre stata molto più per la scienza. Ho sviluppato molto di più la parte scientifica che non la parte artistica.
Per cui arrivare a vedere l’allunaggio, con gli occhiali 3D, è stata quasi la realizzazione di un sogno… si può dire. Anche perchè alla mia età non potrei nemmeno pensare di fare un viaggio spaziale. Non ce la farei a passare la visita medica!
Però io sono cresciuta con la serie iniziale di Star Trek. E non è solo per questo, ma perché io sono nata con l’idea utopica della non cittadinanza: il mondo ci appartiene.
Le frontiere sono un’imposizione dell’uomo e uno dovrebbe poter andare dove vuole, per cui anche sulla Luna.
ADC.: Sei stata ovunque tu? Mi sembra di aver capito.
AP.: Vuoi che ti racconti la storia della mia famiglia?
Mio padre è abruzzese. Purtroppo non si è mai fatto una ricerca genealogica. Lui non si ricorda bene la storia della sua famiglia, a parte che potrebbero essere venuti dalla Grecia, ma comunque sono italiani.
Invece dalla parte della mia mamma, già la famiglia della mia nonna aveva emigrato dal Sud della Germania e era andata ad abitare nella regione del Volga, all’epoca in cui la Zarina aveva aperto le frontiere per l’occupazione e sviluppo della regione intorno al Volga.
La mia nonna ha poi abitato vicino a Kiev, Ucraina (all’epoca non lo era).
Si è sposata lì e ha avuto tre figli, quando poi è dovuta fuggire dopo la Rivoluzione d'ottobre. E sono fuggiti in direzione della Cina, perché tutte le frontiere erano ormai chiuse. La frontiera con la Cina era ancora aperta, perché alla frontiera con la Cina c’era un fiume e è difficile chiudere un fiume.
E sono andati via durante l’inverno, perché durante l’inverno il fiume congela e potevi attraversarlo a piedi.
Per cui da Kiev, dove stavano, hanno fatto con i mezzi che c’erano: in carrozza, a piedi con il treno. Finché non sono arrivati in questo posto, dove hanno pagato qualcuno che gli indicasse più o meno la strada. A metà fiume il tizio è tornato indietro e loro hanno proseguito e sono arrivati in Cina, dove hanno vissuto per un anno e mezzo nella città di Harbin. E il marito della mia nonna in quell’epoca era il “sindaco” del palazzo in cui vivevano tutti i rifugiati tedeschi e comunque i rifugiati della Russia in quell’epoca.
C’erano enormi pressioni da parte del governo russo, perché volevano indietro tutti questi rifugiati che loro consideravano traditori.
E il governo cinese ha cercato di far finta di niente, non li voleva deportare.
Fortunatamente, però, quando la situazione sembrava stare per esplodere, l’organizzazione mondiale delle chiese luterane ha fatto una raccolta di fondi e è riuscita a noleggiare una nave, che è andata in Cina e ha preso queste 1100/1200 persone (non ricordo bene il numero, ce l’ho scritto da qualche parte) e così loro sono venuti via dalla Cina. Nel frattempo mi è nata un’altra zia.
E poi questa nave si è fermata a Marsiglia. A Marsiglia una parte della gente ha preso una nave per andare negli Stati Uniti e in Canada. Invece la famiglia della mia nonna è andata in Brasile, che aveva accettato di ricevere rifugiati e profughi che andassero a abitare terre lontane nel sud.
Per cui loro hanno preso la nave che li ha portati in Brasile.
Inizialmente sono stati a Santa Caterina (ndr.: stato brasiliano). Lì è nato lo zio che per primo ha aperto il negozio di macchine da scrivere in città.
Ma la destinazione giusta non era quella!
Nel frattempo è morto il primo marito di mia nonna per una influenza e la mancanza di un medico nel villaggio dove abitava. Così, l'influenza è diventata una polmonite che poi lo ha portato via. Lei è rimasta vedova, e a quel punto si è impuntata, perché erano molto lontani dalla città e è riuscita a trasferirsi dove le avevano promesso inizialmente.
E così siamo arrivati a Curitiba. Per cui abbiamo attraversato il mondo! Per questo dico che sono cittadina del mondo!
Un fratello di mia nonna è andato negli Stati Uniti, vicino a Chicago dove ho vissuto da bambina.
Un’altra era a New York.
Ci sono parenti lontani anche in Canada da quella emigrazione...
ADC.: Come sei arrivata in Italia?
AP.: Sono arrivata qui perché mi sono laureata alla fine degli anni ‘80, che è stato esattamente prima del decennio del ‘90, dove il Brasile ha avuto quel periodo economico allucinante, con un’inflazione intorno al 1000% all’anno.
Io mi sono laureata e non ero riuscita a fare nessun concorso. Non avevo pensato inizialmente di fare un master o un PHD.
Per cui mi sono trovata senza far niente. Tutti i concorsi erano stati bloccati dal governo.
Il poco che trovavo era a livello di imprese private. Ed era disgustoso o era per andare in Amazzonia. Ma in Amazzonia le condizioni per lavorare sono difficili.
E poi alla fine ho cercato di fare un altro corso di specializzazione, pensavo di prendere un anno sabbatico... e l’anno sabbatico è durato 30 anni...
Sono venuta con una borsa di studio a fare una specializzazione in geotermia al CNR qui a Pisa.
Per chi in quel momento in Brasile non aveva un lavoro era impossibile trovarne uno.
Anche i colleghi con cui mi sono laureata, anche se inizialmente già lavoravano, molti di loro hanno perso il lavoro: chi è andato a fare il commesso, chi vendeva cibo per strada (si cucinava a casa e poi si andava in strada per venderlo). Perché bisognava cercare di sopravvivere.
Poi fortunatamente hanno passato questo decennio atroce e le cose sono migliorate, ma a quel punto sarebbe stato difficile per me rientrare in Brasile.
Qui in Italia ho lavorato come geologa per un periodo, ma poi ho deciso di non continuare.
Prima o poi tornerò in Brasile!
ADC.: Hai concluso il giro cominciato dai tuoi nonni, questo giro del mondo in tre, quattro generazioni e sei tornata quasi al punto di partenza.
AP.: Sì perché il confine ultimo per me è la Luna!
ADC.: Sei andata in Abruzzo?
AP.: In Abruzzo, a Montesilvano, c'è ancora la casa dei miei nonni, dove è nato mio padre. Ho girato in lungo e in largo per tutto l'Abruzzo.